pacifici e modi bellicosi; c’è insito nella natura umana un che di migrante, che tende a spostarsi per natura e per natura va da un luogo A un luogo B, a volte seguendo traiettorie logiche e razionali, quasi rettilinee, a volte vie contorte e arzigogolate, e può perfino capitare di spostarsi in un letto di procuste.
La ricollocazione è anche uno stato d’animo, un’intima passione interiore, una profondità all’interno delle nostre membra dove la dimensione mnemonica dell’Io sprofonda; la ricollocazione è sempre lì sull’orlo dell’oblio, come se fosse in preda a una crisi di nervi, a una crisi rapsodica e sistemica, la ricollocazione può essere a sprazzi gioia e disperazione.
Ad ognuno è concesso un suo posto, per merito, per fortuna, per cooptazione, per spinta, dietro influenza, alla luce dei titoli, alla luce. Da questo posto ognuno è legittimamente autorizzato – ne ha cioè il diritto – allo spostamento, alla ricollocazione diciamo noi, a un nuovo posto, questo non necessariamente concesso, spesso non per fortuna, né per particolari meriti, e in fin dei conti non è detto nemmeno che sia un nuovo posto, che sia cioè un posto migliore, un posto diverso, altro da quel luogo ma non necessariamente altrove, altro da sé molto simile, quasi identico, all’Io da cui esso promana.