come a colui che non è ‘di casa nostra’, che non è ‘uno di noi’, in un processo di autocomprensione comparativo, differenziale, oppositivo che destabilizza la propria identità. Nulla, o quasi, viene detto riguardo a ciò che è lo straniero di per sé, ‘a casa sua’.
The Flag Relocation sovverte questa prospettiva proponendo al pubblico il punto di vista della giovane migrante, la visione di Sami dell’Europa. Anche la coppia freudiana Heimlich (a casa propria – confortevole) – Unheimlich (non a casa propria – perturbante) viene ribaltata3.
Francesco Di Giovanni – attraverso la sua opera – propone, inoltre, il superamento dell’opposizione binaria noi-loro, che porta a vedere l’immigrato come qualcuno che non rientra nel proprio cerchio identitario e nella propria sfera di appartenenza, e che – in quanto tale – rappresenta una minaccia. Il suo linguaggio è inclusivo e tende ad abbattere le barriere dell’alterità e dell’estraneità in favore di un concetto di pluralità umana.
Kant – nel suo scritto Per la pace perpetua – afferma il diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono perdersi all’infinito, dovendo sopportare alla fine di stare l’uno affianco dell’altro’; aggiunge, inoltre, che “originariamente nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra”. Un enunciato disarmante e potente nella sua semplicità, su cui è necessario riflettere.
Maria Chiara Wang