The Flag Relocation è l’ultimo capitolo della ricerca artistica di Francesco Di Giovanni fondata sul tema della ricollocazione. Grazie alla metafora del trasloco, estesa negli anni ad ambiti e a contesti differenti, l’artista si fa portavoce di una filosofia della migrazione argomentata visivamente mediante la produzione di media eterogenei quali: performance, fotografia, video e installazioni.
Il nastro ‘fragile’, con cui una giovane etiope imballa la bandiera europea, è qui impiegato per tenere assieme e per proteggere gli elementi che costituiscono una comunità talvolta minata nella propria unità e stabilità. L’unica stella che rimane visibile rappresenta l’àncora di salvezza a cui la piccola Sami si è aggrappata per cominciare una nuova vita.
L’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Ogni individuo ha quindi il diritto di ‘ricollocarsi’ e, in base all’articolo 6 della DDU, ha anche il diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica in ogni luogo1. La figura del migrante s’inscrive all’interno della nuova e poliforma identità planetaria della rete globale come ‘soggetto culturale’ e come ‘forma sociale’, che si determina nel contesto relazionale con la comunità in cui trova nuova dimora. Nei suoi confronti possono svilupparsi atteggiamenti di accoglienza oppure di rifiuto e di espulsione2. La cultura occidentale è abituata a definire l’Io tramite il Non Io, a pensare allo straniero

come a colui che non è ‘di casa nostra’, che non è ‘uno di noi’, in un processo di autocomprensione comparativo, differenziale, oppositivo che destabilizza la propria identità. Nulla, o quasi, viene detto riguardo a ciò che è lo straniero di per sé, ‘a casa sua’.
The Flag Relocation sovverte questa prospettiva proponendo al pubblico il punto di vista della giovane migrante, la visione di Sami dell’Europa. Anche la coppia freudiana Heimlich (a casa propria – confortevole) – Unheimlich (non a casa propria – perturbante) viene ribaltata3.
Francesco Di Giovanni – attraverso la sua opera – propone, inoltre, il superamento dell’opposizione binaria noi-loro, che porta a vedere l’immigrato come qualcuno che non rientra nel proprio cerchio identitario e nella propria sfera di appartenenza, e che – in quanto tale – rappresenta una minaccia. Il suo linguaggio è inclusivo e tende ad abbattere le barriere dell’alterità e dell’estraneità in favore di un concetto di pluralità umana.
Kant – nel suo scritto Per la pace perpetua – afferma il diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono perdersi all’infinito, dovendo sopportare alla fine di stare l’uno affianco dell’altro’; aggiunge, inoltre, che “originariamente nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra”. Un enunciato disarmante e potente nella sua semplicità, su cui è necessario riflettere.

 

Maria Chiara Wang

1 Articolo 6 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
2 P. Ricœur, Ermeneutica delle migrazioni. Saggi, discorsi, contributi, a cura di R. Boccali, Milano, Mimesis Edizioni, 2013.
3 S. Freud, Il perturbante, tr. it. di S. Daniele, in Opere Complete, vol. IX, Torino, Bollati Boringhieri, 1977.

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